martedì 7 aprile 2009

Quando la terra d'Abruzzo trema


Alle 19.45 di oggi, anche i nervi di Mirtilla hanno ceduto sotto l'ennesimo colpo di terremoto. Qui a Roma continuiamo a sentire echi di ciò che accade a L'Aquila e dintorni però per me che sono abruzzese la cosa si fa un pò più complicata. Ok casa mia è a posto, i miei sono al sicuro in una zona non colpita, almeno per ora, eppure... è che noi abruzzesi non ci siamo abituati a vedere il nome della nostra regione su ogni tiggì. Non siamo abituati a sentirci chiamare, indicare o soccorrere.

Da noi non succede mai nulla di eclatante (a parte i consigli regionali che si dimettono per corruzione ma, tant'è, è pur sempre Italia...), non abbiamo una mafia con nome e cognome, da noi non si fanno i G8, da noi non sbarcano centinaia di migliaia di immigrati, da noi ci sono le manifestazioni nazionali dei sindacati, e da noi manco la monnezza si accumula (per fortuna, eh).
In Abruzzo si viene per mangiare la porchetta (non me ne voglia Ariccia ma diciamolo, la nostra vince su tutti i fronti...), gli arrosticini, il pesce e per il vino rosso; si viene per il mare e per la montagna, per la neve e per i piccoli borghi medievali. Una volta qualcuno ci venne a girare un film fantasy: Lady Hawke a Rocca Calascio.
In Abruzzo si viene per visitare i parchi e vedere l'orso marsicano, per visitare le chiese e per passare qualche ora con gente gioviale e accogliente.

Siamo taciturni noi abruzzesi a volte anche un pò scostanti, ma abbiamo il cuore tenero. Siamo come la pietra della Majella, che è bianca e porosa e morbida. Eppure sta lì da migliaia di anni, nulla la scalfisce, nulla la rovina. Noi siamo così, gentili ma solidi, riservati ma generosi.

Questa sciagura la viviamo così con incredulità e rassegnazione, forse anche con un sorriso amaro sulle labbra: non succede mai nulla da noi, a malapena gli italiani sanno distinguere il Molise dall'Abruzzo, e guarda un pò per cosa tocca farci conoscere! Adesso lo sanno tutti, dove stiamo.

Non ci siamo abituati, ai riflettori, alle grandi tragedie o ai grandi fasti. Non siamo abituati al clamore della morte, ai gridi di dolore della nostra gente. Non ci capita tanto spesso di ascoltare il nostro dialetto in tv raccontare di sofferenza e desolazione. Non ci siamo abituati, IO non ci sono abituata. E non mi ci abituerò mai.
Finirà, chissà quando e chissà come, ma finirà. E allora ci rimboccheremo le maniche e faremo quello che sappiamo fare meglio da abruzzesi e da italiani: guardare la montagna che abbiamo di fronte, e iniziare lentamente e inesorabilmente, a scalarla. Verso la vetta.