giovedì 2 luglio 2009

Sanctuary- Considerazioni sparse


Sanctuary
, la raccolta italiana di racconti fantasici a cura di Luca Azzolini, è almeno tre cose insieme:

Beneficienza: i ricavati delle vendite verranno devoluti in beneficienza alla fondazione ABIO: associazione che da 30 anni si dedica all’accoglienza dei bambini e degli adolescenti in ospedale, e al sostegno dei loro genitori.

Collaborazione e partecipazione: non solo 12 noti autori italiani hanno accettato, pur nella loro diversità stilistica e produttiva, di cimentarsi insieme su un'ambientazione condivisa, ma un concorso aperto a tutti gli aspiranti scrittori ha permesso a un lettore di diventare il 13esimo autore della raccolta. Se non è una novità questa, in italia...

Urban fantasy: fortunatamente non è una novità assoluta come sottogenere tra gli autori italiani ma Sanctuary è, nel complesso, un'ambientazione diversa e originale nel panorama dei temi nostrani.

Basta tutto questo a fare di Sanctuary un capolavoro? Bhè, onestamente no. L'intento è lodevole, l'iniziativa pure, ma molti racconti non sono all'altezza e manca, a mio parere, il senso "complessivo" di raccolta. L'attacco e la chiusura affidati al curatore Azzolini, non bastano a creare organicità: i racconti rimangono a se stanti e non contribuiscono a restituire un'idea di fondo dell'antologia. O almeno, io non l'ho trovata evidente.
Inoltre la Sanctuary che appare, pur in 13 racconti diversi, è praticamente sempre la stessa. Capisco che nell'immaginario collettivo urban fantasy= città inquinata, degradata, pericolosa, decadente e promiscua, ma possibile che a tutti gli autori e a tutti gli aspiranti autori sia venuto in mentee di mostrare sta benedetta città solo in questi aspetti?? Ok, la metropoli ha spesso accezioni negative, carica di una umanità caotica che si muove verso il baratro dell'involuzione e della violenza, ma solo questo? Magari è una scelta editoriale precisa, ok, ma personalmente mi è pesato un pò non cambiare praticamente mai contesto da un racconto a un altro.

Passiamo ai racconti. Ce ne sono due o tre che mi sono piaciuti molto altri meno. La maggior parte delle mie impressioni si basa sul "clima" che i racconti sono riusciti a creare, al coinvolgimento anche emotivo che hanno suscitato.

La Casa dei millepiedi di Pierdomenico Baccalario: *** Il mio preferito in assoluto, per il linguaggio, per il ritmo, e per il finale. La sua visione di Sanctuary e del controllo sulle persone è di certo l'idea migliore del racconto come pure l'atmosfera che è riuscito a creare.

La fabbrica delle Leghe perfette di Troy Cassini: ** Bello ma un pò scontato sul finale :(

Le colpe dei Padri di Franco Clun: * Pesante e prolisso. Non mi è piaciuta la storia nè il modo con cui l'ha conclusa. Non sono riuscita a "entrare" nel racconto, nella sua anima.

Le storie che nascono in questa città di Francesco Dimitri: ** Un racconto coerente e ben ritmato sebbene molto molto molto legato all'approccio dimitriano al mondo. Un pò di varietà tematica non sarebbe guastata!

Anobium di Francesco Falconi : ** Molto intrigante il personaggio femminile protagonista di un racconto molto diverso dalla solita produzione di Falconi, di certo uno di quelli che resta più in mente a libro chiuso. L'unica pecca del racconto è il suo essere un pò "sbilanciato" sull'inizio, con un finale un pò rapido rispetto all'aspettativa creata.

Mirror Blues di Fabrizio Furchì : * L'esordiente di Sanctuary mi sembra un pò spiazzato. Il linguaggio non sempre è all'altezza, o meglio è all'altezza per catturare l'attenzione con figure ad effetto ma non di trattenerla, la storia poco convincengte. Furchì sa caratterizzare bene i personaggi ma non riesce a tessere una trama che riesca a vivere senza il ricorso a immagini o frasi ad effetto. Il ritmo si salva un pò ma personalmente il racconto mi ha deluso.

Il ditirambo di samarat di Michele Giannone : * Racconto partito bene ma poi, onestamente, sul finire ha perso parte della sua originalità. Un compito in classe svolto bene ma che non ha moltissima anima.

Angeli e uomini di Cecilia Randall : *** Dopo quello di Baccalario questo è il racconto che mi è piaciuto di più. Chiaro nell'andamento, ben ritmato e capace di reggere, sul finale, le aspettative create. Bella l'atmosfera e accattivante il personaggio pricapale, la misteriosa e spietata Lily.

Foresta Perduta di Eagle Rizzo: * scontato e un pò monotono nel linguaggio e nel ritmo anche se è l'unico racconto davvero a lieto fine tra tutti e con un accenno di romanticismo.

Redenzione di Antonia Romagnoli : * Vale quanto detto per Clun: un pò troppo freddo e prolisso come racconto. NOn mi ha preso :(

Saint Vicious di Luca Tarenzi: *** Pure questo mi è discretamente piaciuto. Oddio, il tema affrontato non è che sia dei più originali, ma quantomeno il racconto non è autoreferenziale e ha un messaggio di fondo che in altri non s'è proprio visto. Mi ha divertito e mi ha mostrato qualcosa di diverso rispetto agli altri racconti.

L'inizio di ogni fine e la fine di ogni inizio di Luca Azzolini : ** Avevano l'ingrato compito di aprire e chiudere l'antologia quindi è difficile esprimere un giudizio. Il racconto di apertura non è male per nulla, ma quello di chiusura è un pò troppo vago. Non sono neppure certa che sia riuscito efficacemente a chiudere il libro...


Ah, dimenticavo. L'introduzione di Altieri, l'autore della Trilogia di Magdeburg. Domanda: ma voi l'avete capita??? Ora, di certo sono ignorante io, ma a un certo punto il delirio citazionale e autoreferenziale del buon Altieri mi ha dato alla testa e non ho capito che ci azzeccasse Sanctuary in questo sfoggio di sè.


mercoledì 1 luglio 2009

Toc toc...


Più di un mese che non aggiorno il blog, riuscirò a riprendere il ritmo? Non lo so. Certo sarebbe utile riprendere a leggere con maggiore assiduità visto che in tutto questo tempo ho letto SOLO due libri!!! Pazzesco!! Si tratta di Estasia 3 di Francesco Falconi e di Sanctuary di Azzolini e soci.
Due letture molto piacevoli, sebbene profondamente diverse.

Ora sono alle prese con La Valle degli Eroi di Jonathan Stroud e ho comprato anche Coraline di Gaiman. Ci credete che non sono morta fulminata nel toccare la copertina di quest'ultimo?? Ora non resta che leggerlo e poi, perchè no, passare al film.

Non avrò letto molto ma, in compenso, mi son gustata le tre serie di Battlestar Galactica, telefilm di fantascienza remake e aggiornamento della serie Galactica del 1978. Che dire: ringrazio Tanabrus, e altri, che me l'hanno fatto scoprire! E' una serie sorprendente, per trama, per ritmo, per temi e per regia. Se riesco ne parlerò più diffusamente ma prima vorrei gustarmi la quarta e ultima serie (già solo QUATTRO serie, non è fantastico??) in arrivo su questo pc anche se con i sottotitoli.... :)

Oh, per ora è tutto ma io ci sono, ah se ci sono!


mercoledì 20 maggio 2009

Ragazze Lupo- Recensione?


Era un pò di tempo che volevo leggere questo libro, da quando lo avevo visto comparire sugli scaffali delle librerie e dopo averne letto qualche commento in rete.
Solo che forse, nella fretta, nn devo aver letto attentamente le recensioni in questione, perchè non avevo miimamente intuito che Ragazze Lupo di Martin Millar fosse un libro ironico, un pò da presa in giro dei clichè del fantastico in chiave licantropa.
E non avendo compreso questo dettaglio, potete ben immaginare come io abbia vissuto le avventure di una manica di licantropi modaioli, dipendenti dal laudano, depressi, rockettari e poi orde di fate fissate con i tacchi a spillo o con gli anfibi e amenità di questo tipo... male, l'ho vissuta molto male!

Dalla quarta di copertina: Kalix ha diciassette anni ed è una ragazza ribelle, una ragazza lupo. Ricchissima e nobile, ultima discendente della più antica dinastia di licantropi scozzesi, i MacRinnalch, ha trasgredito le regole della famiglia innamorandosi di Gawain, giovane lupo mannaro di umili origini, e adesso si nasconde, inseguita dai sicari, tra le strade di Londra. Vestita di stracci e magrissima ai limiti dell'anoressia, per tenersi su sorseggia del laudano da cui ormai è dipendente. Certa di aver tagliato per sempre i ponti con la sua famiglia, Kalix si troverà suo malgrado coinvolta nella lotta per la successione alla reggia dei MacRinnalch, circondata da una serie di personaggi stravaganti: sua sorella, una stilista di tendenza dotata di poteri magici, le cugine, dissolute musiciste della scena punk londinese, e due giovani umani, studenti universitari, che si prenderanno cura di lei, ammaliati fin dal primo istante da questa creatura straordinaria. Ambiziosi, romantici e ribelli, i giovani licantropi di Martin Millar si muovono con scaltrezza in una società contemporanea, ricca di conflitti, e proprio come i ragazzi di oggi dimostrano di aver capito il valore assoluto dell'amicizia e della solidarietà oltre ogni altra cosa.

Ora, a parte il mio piccolo problema iniziale, quello che non mi è piaciuto del libro è che, pur ammettendo che si tratti di un libro che ispiri all'ironia, evidentemente Millar usa una tecnica a me sconosciuta perchè, personalmente, non l'ho capita. O forse è mancanza di senso dell'umorismo, potrebbe essere...
Sta di fatto che il libro, che si prende molto sul serio per essere un testo giocoso, non ingrana mai davvero. Si è sempre nell'attesa che qualcosa di sensato accada, e fidatevi che ci ho sperato con tutta me stessa. Fino all'ultima pagina che ha definitivamente messo una pietra sopra le mie speranze.
Il libro mi è risultato irritante, non in grado di suscitare ilarità, figuriamoci una qualche emozione. I personaggi "macchietta", dalla fata potentissima fissata col guardaroba, all'erede licantropo dalle tendenze drag queen, la licantropa darkettona depressa con manie suicide (si tagliuzzava quando le finiva il laudano) onestamente non fanno ridere, fanno un pò pena.
Anche perchè Millar non ha una grande varietà di soluzioni per definire lo spessore di questa manica di matti, anzi, ripete ossessivamente sempre le stesse frasi quando parla di loro, e la psicologia non sa neppure cosa sia.
E che dire della trama?? Effettivamente, qual è il nocciolo della trama? Per buona parte del libro si ha l'impressione che tutto dipenda da Kalix, la depressa, ma poi in realtà il nodo della storia è più complesso e il fatto che per 100 pagine Millar ci ha torturati con la "specialità" di Kalix in tutta la vicenda, non aiuta ad accettare meglio il cambio di prospettiva. Perchè poi, che ruolo eccezionale gioca lei???
Millar rimane sempre in bilico tra estrema "presa sul serio" della storia ed estrema leggerezza con una inevitabile mancanza di identità precisa: che libro è Ragazze Lupo? Un testo che ironizza sul genere come Pratchett?? Magari! Pratchett è coerente e tiene lo stesso registro per tutti il libro mentre Millar no. A tratti crede, e vuol fare credere, di essere alle prese con un testo d'azione a tratti un pò drammatico, altre volte si sposta su una leggerezza davvero inconciliabile col resto.
Registri diversi, quindi, che non permettono di inquadrare l'identità di questo libro. E, personalmente, se non capisco con cosa ho a che fare, non riesco ad apprezzarlo.
Altra nota ingannevole, secondo me: la copertina. Bellissima, evoca mistero, atmosfere gotiche e segreti da svelare. Ma non era meglio una copertina un pò meno "che se la tira", visto che dentro non c'è l'ombra di quegli elementi lì???

Vabbè, credo di aver detto tutto :P
Ah no, ancora una cosa, sto leggendo in questi giorni Estasia 3...

lunedì 18 maggio 2009

Il Silenzio di Lenth- recensione


Sono mesi un pò turbolenti in cui ho scoperto una cosa terribile: non sono più multitasking!!! Non so nè come nè dove io abbia smarrito la capacità tutta femminile di fare 200 cose insieme, ora mi trovo a non riuscire nemmeno a concialiare le ore di lavoro con il tempo per un buon libro!! Tempo un anno e sarò come i maschietti: una cosa per volta, plis, sennò mi perdo i pezzi...
Vabbè, battute sceme a parte, ho fatto un sacco di cose fantasy in questo periodo e spero davvero di riuscire a recuperare il tempo perduto, prima o poi. Io mi impegnerò, promesso!
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Una delle cose che sono riuscita a fare, complice le ore passate sui mezzi pubblici e complice la gradevole lettura, è iniziare e finire l'opera prima di Luca Centi Pizzutilli che i frequentatori di questo blog conoscono come LucaCp. Considero Luca un amico e questo rende il mio punto di vista sicuramente di parte ma l'obiettività, caro Luca, Mirtilla non la perde nemmeno in questa occasione, quindi... siediti e stai tranquillo!!

La storia come da quarta di copertina:
Sono passate ore da quando Hertha del clan Fyerno e Kaas, il Sommo Sacerdote di Lenth, hanno intrapreso quel sentiero scosceso. La fatica li ha quasi sopraffatti; non possono permettersi di restare in quel luogo, quello è l'Esterno, abitato da creature malefiche contro cui i loro incantesimi non possono nulla. Sulla via del ritorno, però, hanno sentito in lontananza il pianto di un neonato e sono accorsi a salvarlo. Per Hertha, che fin da giovane non ha dimostrato di possedere le doti per diventare mago, il segno sulla fronte del piccolo non è che una macchia scura, ma Kaas lo ha subito riconosciuto: quello è un frigie, un simbolo magico, e il neonato è l'Eletto, l'incarnazione di Kexan, il dio che lui e la sua gente hanno temuto e odiato, e che pensavano sconfitto per sempre. Dopo aver fatto ritorno al villaggio, il Sommo Sacerdote mostra il fanciullo ai dieci del Consiglio Dominante e tutti si mostrano sconcertati e impauriti. Il bambino-dio deve essere eliminato. Ma grazie a uno stratagemma Kaas riesce a mantenere in vita il piccolo, a cui ha dato il nome Windaw. Una visione notturna, infatti, gli ha mostrato l'imminente invasione delle loro terre per mano dei terribili stregoni di Tarass, che solo la forza divina dell'Eletto può fermare. Sarà lui a custodire la Pietra Alchemica che i malvagi stanno cercando e a riportare la pace e il silenzio nella verde Terra di Lenth.

In verità questa quarta di copertina non è proprio esaustiva, perchè la storia non parte da Lenth e fidatevi che non è un dettaglio di poco conto e perchè, per come appare da qui, si tratta della solita storiella col fanciullo dal nobile destino scritto nelle profezie che, in un momento della sua vita coincidente col passaggio dalla fanciullezza all'età adulta, si imbarca nell'impresa della sua vita con l'amata al fianco.
Bhè, è vero che una profezia c'è, è vero che un destino molto particolare per il protagonista Windaw c'è, ed è pure vero che l'età adulta arriverà con forza traumatica nella vita di Windaw. Ma il libro offre degli spunti molto interessanti pur partendo da un sostrato fantasy già noto.

Cosa mi è piaciuto del libro? Il Silenzio di Lenth mi ha dato subito l'impressione di un romanzo con un chiaro
obiettivo in testa: l'autore sa precisamente dove andare a parare e fa in modo di condurci precisamente dove vuole lui. Ciò influisce anche col ritmo complessivo del libro che, tolta una prima parte un pò convulsa di cui dirò poi, scorre bene in un'alternanza di punti di vista e di situazioni che contribuisce a coinvolgere il lettore.
Il pregio del Silenzio è il porre molta cura alla trama, ovviamente, ma anche al tratteggio dell'ambientazione, della cultura di Lenth, con quel sistema di valori e di "credenze" che influiscono pesantemente sull'agire delle persone e che determinano conseguenze importanti nella gestione complessiva di un intreccio. Centi attinge a piene mani alle caratteristiche di genere (ma perchè li chiami maghi se sono più sacerdoti che maghi??), ma riesce a mescolare il tutto creando una trama originale con un intreccio capace di rovesciare, nel finale, tutto quello che si dava per assodato, e capace, soprattutto, di tenere alta l'attenzione del lettore.

Mi è piaciuto molto, inoltre, il modo di intendere la divinità. Di dei nei libri fantasy e fantastici ce n'è sempre una varietà estremamente variegata, da quelli che non interferiscono ma sono presenti nella cultura del popolo, quelli che forse ci sono forse no, quelli che usano la razza umana come terreno di scontro... e a Lenth ci sono anche quelli che fanno ben di peggio, e non dico altro sennò spoilero! E poi lo stile, bello asciutto e non troppo arzigogolato, precisamente come piace a me!
Oh, ma allora è perfetto questo libro?

Bhè no, a mio parere su qualcosa il Silenzio di Lenth un pò scivola.

La parte iniziale, ad esempio, diciamo le prime 50-60 pagine, sono molto convulse poichè giocate in rapidissima successione, sull'alternarsi del sonno veglia, realtà-sogno, di ben 4 personaggi. Devo ammettere che in certi passaggi per capire se si trattasse di sogni o eventi reali, ho dovuto rileggere. Forse, come apertura di un libro, per non far confondere il lettore o peggio, per non farlo scoraggiare, avrei optato per uno svolgimento narrativo meno sincopato. Ma si tratta di un gusto mio, eh.
Altro nodo, la caratterizzazione, anche psicologica, dei personaggi. Ho avuto spesso l'impressione che l'autore usasse i personaggi per mandare avanti la storia, preponendo lo svolgimento della vicenda ai suoi attori. Con molta dell'attenzione messa sulla trama e sulla sua coerenza, i personaggi sono "scivolati" in secondo piano, tanto che emotivamente parlando essi non mi hanno coinvolto moltissimo, certo non al pari dal coinvolgimento che è stato capace di creare l'autore a livello di storia. Persino le morti, non poche, che costellano il libro, mi sono apparse "mali necessari" da archiviare per andare avanti e al di là di un pò di sconcerto per la prematura dipartita, non è che ci sia stato altro.

Insomma, lo consiglio o no questo libro? Ovviamente si! C'è un pò di fantasy classica, c'è l'avventura, c'è il mistero, c'è l'essere umano alle prese con il disvelamento del sè e del proprio ruolo nel destino del mondo, e, soprattutto, c'è una vera ambientazione che non è sempre così scontata come cosa. E' un libro di esordio e, come tale, qualche ingenuità ce l'ha (vedi sopra) ma, nel complesso, è una lettura che avvince , che tiene alto l'interesse del lettore, e che dimostra come elementi ricorrenti di genere non portino inevitabilmente verso storie che si somigliano tutte.
A mio modesto parere, Il silenzio di Lenth si colloca molto meglio di decine di altri titoli d'esordio nel panorama del giovane fantasy nostrano. Ora non vi resta che provare così mi dite cosa ne pensate!

martedì 7 aprile 2009

Quando la terra d'Abruzzo trema


Alle 19.45 di oggi, anche i nervi di Mirtilla hanno ceduto sotto l'ennesimo colpo di terremoto. Qui a Roma continuiamo a sentire echi di ciò che accade a L'Aquila e dintorni però per me che sono abruzzese la cosa si fa un pò più complicata. Ok casa mia è a posto, i miei sono al sicuro in una zona non colpita, almeno per ora, eppure... è che noi abruzzesi non ci siamo abituati a vedere il nome della nostra regione su ogni tiggì. Non siamo abituati a sentirci chiamare, indicare o soccorrere.

Da noi non succede mai nulla di eclatante (a parte i consigli regionali che si dimettono per corruzione ma, tant'è, è pur sempre Italia...), non abbiamo una mafia con nome e cognome, da noi non si fanno i G8, da noi non sbarcano centinaia di migliaia di immigrati, da noi ci sono le manifestazioni nazionali dei sindacati, e da noi manco la monnezza si accumula (per fortuna, eh).
In Abruzzo si viene per mangiare la porchetta (non me ne voglia Ariccia ma diciamolo, la nostra vince su tutti i fronti...), gli arrosticini, il pesce e per il vino rosso; si viene per il mare e per la montagna, per la neve e per i piccoli borghi medievali. Una volta qualcuno ci venne a girare un film fantasy: Lady Hawke a Rocca Calascio.
In Abruzzo si viene per visitare i parchi e vedere l'orso marsicano, per visitare le chiese e per passare qualche ora con gente gioviale e accogliente.

Siamo taciturni noi abruzzesi a volte anche un pò scostanti, ma abbiamo il cuore tenero. Siamo come la pietra della Majella, che è bianca e porosa e morbida. Eppure sta lì da migliaia di anni, nulla la scalfisce, nulla la rovina. Noi siamo così, gentili ma solidi, riservati ma generosi.

Questa sciagura la viviamo così con incredulità e rassegnazione, forse anche con un sorriso amaro sulle labbra: non succede mai nulla da noi, a malapena gli italiani sanno distinguere il Molise dall'Abruzzo, e guarda un pò per cosa tocca farci conoscere! Adesso lo sanno tutti, dove stiamo.

Non ci siamo abituati, ai riflettori, alle grandi tragedie o ai grandi fasti. Non siamo abituati al clamore della morte, ai gridi di dolore della nostra gente. Non ci capita tanto spesso di ascoltare il nostro dialetto in tv raccontare di sofferenza e desolazione. Non ci siamo abituati, IO non ci sono abituata. E non mi ci abituerò mai.
Finirà, chissà quando e chissà come, ma finirà. E allora ci rimboccheremo le maniche e faremo quello che sappiamo fare meglio da abruzzesi e da italiani: guardare la montagna che abbiamo di fronte, e iniziare lentamente e inesorabilmente, a scalarla. Verso la vetta.

lunedì 23 marzo 2009

Watchmen film- commento


Finalmente, dopo settimane di imprevisti e impegni vari, ieri sera io e Rob siamo andati al cinema a vedere Watchmen. Ora, che io mi impelaghi in una recensione sull'adattamenti cinematografico della mitica grafic novel di Moore, mi sembra quantomeno complicato visto che il fumetto non l'ho letto, e pure l'avessi fatto, non sono una grande esperta in materia. Eppoi c'è chi ha detto molto meglio di me cos' ha di bello, di brutto e di diverso il film rispetto al fumetto, trovate qui e qui un paio di esempi.

E io che posso fare? Dall'alto del mio digiuno fumettistico, posso semplicemente dirvi che Watchmen film, a 24 ore di distanza, non me lo sono ancora levato dalla testa. E' come essersi tuffati per qualche istante in una visione del mondo e della complessità dell'esistenza talmente tanto oltre, che faccio fatica a riallinearmi con la realtà (no, non sono Miss Manhattan, tranquilli).

Sapevo che si trattava di una storia complessa, spacciata per essere molto supereroica ma, come da buona tradizione mooriana, in realtà molto più sfaccettata di quanto si possa immaginare.
Ammetto di essere rimasta spiazzata per quanto questa sfaccettatura fosse destabilizzante e coinvolgente. Ma questo è merito di Moore, non certo del buon Snyder, regista del film. Merito di Moore è di aver avuto molti anni fa, la capacità di parlare all'uomo dell'uomo attraverso la metafora dei supereroi, la capacità di indagare così bene la psiche dei personaggi, da averli resi ben oltre l'eroismo. Grandioso il modo con cui i "supereroi" di Moore, lottano e vivono a cavallo tra il bene e il male, perfettamente consci dei meccanismi, delle debolezze e della forza, dell'agire sociale umano. Ma come usano tutto questo? Pro o contro gli uomini? Difficile dirlo.

Ok, ma il film? Personalmente mi è piaciuto molto. Buono il ritmo, convincentissimi gli attori (spec. il Comico!!), colonna sonora assurda e molto accattivanti, ma senza strafare più del lecito, gli effetti speciali. So che la pellicola è praticamente la trasposizione del fumetto, con tanto di lotti di dialoghi letteralmente copia incollati, come pure certe inquadrature (un pò come accadeva in 300, sempre di Snyder), ma non so valutare quanto la cosa sia infastidente non avendo letto il fumetto. A volte si è accusato il regista di poco coraggio, di poca personalizzazione, ma... Adattare per il cinema un fumetto così complesso, e tra l'altro oggetto di reale fanatismo da parte di molti, non è facilissimo. La tentazione di replicare testi e immagini di un'opera che già di per sè è molto visiva (non come un libro...), e poi visiva a livelli molto alti, è assolutamente normale. Non è piaggeria o mancanza di coraggio, è riconoscere l'estrema e innata cinematograficità di certi fumetti che non hanno alcun bisogno di essere stravolti.
Ma le mie sono illazioni, concedele a una povera ignorante ^__^'

Certamente è un film lungo, molto lungo, certamente gli avanti e indietro temporali mi stavano facendo venire il mal di testa, ma nel complesso vedere il film è stata un'esperienza estremamente particolare. Quando leggerò il fumetto (che, a occhio e croce, sarà il mio primo fumetto visto che non ho mai letto manco Topolino), capirò se davvero l'ho vissuta tutta, o se manca ancora qualcosa.

Infine, ringrazio pubblicamente il pubblico che sedeva al Vis Pathè di Roma est, spettacolo delle 17.50: nessuno si è alzato per andare via, nessuno ha riso, nessuno ha bestemmiato ma tutti si sono sciroppati il film (proiettato senza manco una pausa!!!), senza infastidire nessuno. Dopo i racconti di molti amici funestati dalla presenza di maleducati che pensavano di stare a guardare il classico film a base di voli, risate e scazzottate supereroiche, io nutrivo una certa ansia.
Ma per fortuna mi è andata bene!!

giovedì 19 marzo 2009

Rece si, rece no


Vi siete mai chiesti se ad amare/odiare un libro, siate soli nell'universo? Siete curiosi di sapere quanto il vostro parere sia condiviso oppure no? E' possibile captare l'opinione comune su un libro, attraverso i giudizi alla recensioni???

Ecco, se siete come me, sfrugugliare su anobii alla ricerca di come sono stati votati i vostri commenti ai libri, con pollice su o pollice giù, diventa un passatempo molto divertente.

Mi sono accorta solo oggi che anobii ha reso più chiara una simpatica funzione che permette di vedere quanti voti negativi e positivi hanno ricevuto i commenti dei libri in libreria.
La cosa non ha valore statistico, ok, ma qualche curiosità carina, emerge. Impossibile interpretare il dato perchè manca una condizione fondamentale, ovvero sapere in base a cosa è stato espresso un giudizio, se sulla adeguatezza e completezza della rece in sè, o su quanto quella rece sia in accordo o disaccordo col parere dell'utente ma di cose simpatiche saltano fuori. Ho preso qualche esempio, sono i libri più votati.

Gli inganni di Locke Lamora 10 : 10 sì, 0 no
Wow, gli Inganni hanno riscosso un sacco di successo. Considerando che la mia rece non era semplicemente positiva, ma era ENTUSIASTA, ne deduco che ci sono moltissimi entusiasti del capitolo primo di Locke.

Pan 7: 9 sì, 2 no
Anche qui, la rece era abbastanza favorevole e in molti pare ci si siano ritrovati. Mi piacerebbe sapere se i due voti negativi siano stati attribuiti alla parte più pro o più contro, della stessa.

I dannati di Malva 15 : 19 sì, 4 no
Qui è facile. La mia rece era negativa e quindi chi le ha dato pollice su, vuol dire che la pensava esattamente come me. Mica pochi, eh!

Il nome del vento 4 : 4 sì, 0 no
Qui pure è agevole. L'opera prima di Rothfuss, sebbene i numeri dei suoi fan italici nn siano probabilmente tanti quanti quelli di altri autori, segna un plebiscito a favore di Kvothe.

A me le guardie! -3 :0 sì, 3 no
Io Pratchett lo detesto quindi il mio stringatissimo parere negativo, non ha incontrato il favore di chi vi è incappato. Avevo messo in conto che potessero essere di più, mi è andata bene!

La prescelta e l'erede -2 : 2 sì, 4 no
Me lo aspettavo. La rece metteva a confronto questo libro con il primo e, a mio parere, non c'è paragone. I fan della Carey non sono d'accordo...

Estasia1 3 : 9 sì, 6 no
Il mio commento non era positivo e in molti la pensano come me, ma molti altri hanno apprezzato di quell'opera proprio quello che a me non andava giù. E i voti rispecchiano bene la cosa.

Ora le interpretazioni più complicate, fatalità su autori italiani molto amati.

Prodigium 4 : 10 sì, 6 no
La rece era alla fine equilibrata, con focus sui punti a mio parere positivi e sui punti negativi. Difficile capire quei 6 no. Fondamentalmente il parere era favorevole, quindi, se il voto è stato dato al "senso complessivo" della rece, allora la mia opinione non è condivisa e nei lettori prevale l'accento sulle cose negative.

La Ragazza Drago 1 :6 sì, 5 no
Stesso dicasi per la Ragazza Drago. Rece equilibrata ma tutto sommato positiva. Ne deduco che la mia visione non sia stata precisamente apprezzata....

Estasia2 -3 :4 sì, 7 no
Rece tutto sommato equilibrata ma positiva e anche qui, decisamente stroncata! Ma piace o no questo libro??

Ok, cosa ne traggo da 'sta cosa??

In realtà poco o nulla, perchè, come ho già detto, mancano premesse interpretative fondamentali.
Però una cosa è chiara: le nostre librerie virtuali replicano uno spaccato del sentire condiviso della comunità.
Non è un caso che le recensioni numericamente più controverse siano su libri di autori italici. Il fantasy nostrano è un'esperienza recente che suscita animati dibattiti sulla sua qualità, mentre la produzione estera, più matura e pure più varia, suscita pareri più netti, pro o contro. Più o meno quello che accade nella mia libreria...

Sul fronte più propriamente recensorio, scorrendo anche gli altri voti conseguiti, mi accorgo che le rece più chiaramente "schierate" pro o contro, sono quelle maggiormente votate, mentre quelle equilibrate non riscuotono molti voti, e se si, c'è sempre un testa a testa.
Probabilmente c'è del vero in questo atteggiamento: se un lettore cerca opinioni che confermino o scoraggino un'intenzione di lettura, ha bisogno di una rece chiara, senza troppi giri di parole (praticamente sono logorroica!!)

E le vostre librerie come stanno messe? Riscontrate voti inattesi?? Rispecchiano l'atmosfera che avvertite attorno a certi libri oppure no?

martedì 17 marzo 2009

Wunderkind-- Recensione


Scusate l’assenza, me lo sentirete dire spesso da qui in avanti.
Dunque, su consiglio di Stefano, in questi giorni ho letto Wunderkind, opera prima di un giovane, ma non troppo (è mio coetaneo, eh), autore italiano, tale D’Andrea G.L.
Premetto che non è precisamente il mio genere, perché il libro è la classica mescolanza tra elementi fantastici, gotici e dell’orrore che non riesce sempre a prendermi del tutto, ma devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita dalla novità rappresentata da Wunderkind quanto a creazione di ambientazione, atmosfera e coinvolgimento.
Intendiamoci, non mi sento di gridare al miracolo semplicemente perché si tratta di un libro con spunti notevolissimi che emerge in un mare non troppo popoloso quanto a concorrenza italica. E così è troppo facile, no?

Questa è la quarta di copertina:
Parigi, autunno. È una lucida moneta d'argento a sconvolgere la vita di Caius Strauss. Perché è il dono di un orribile uomo dalla faccia di luna, e perché di lei è impossibile liberarsi: gettata nella Senna o sepolta tra i rifiuti, la lucida moneta d'argento torna sempre. La moneta è lo strumento con cui il male scritto nel destino di Caius ha scelto di manifestarsi, e la chiave per accedere al Dent de Nuit, il quartiere che nessuna mappa ha mai segnalato. Un mondo di tenebra in cui si annidano uomini dotati di un potere letale e luoghi misteriosi come la libreria Cartaferina, che vende oggetti capaci di realizzare desideri oscuri a prezzo del sangue. Nel cuore infetto di una Parigi lunare e apocalittica, una terribile rivelazione attende Caius: lui è il Wunderkind, il ragazzo per cui gli abitanti della città nascosta sono disposti a morire e l'uomo dalla faccia di luna è disposto a uccidere.

Condite il tutto con creature malvagie frutto di incubi di lovecraftiana e barkeriana memoria, con un’atmosfera trasudante corruzione e morte, con torture e rituali di violenza inaudita, e l’incubo è servito.

Mi ha colpito molto la visionarietà dell’ambientazione creata da D’Andrea, la sua capacità di concretizzare il male in figure e situazioni dalla perversione mostruosa, la sua capacità di dipingere un mondo che, fino alla fine, si muove su un delicato crinale in cui bene e male non esistono, in cui verità e falsità vanno a braccetto.
Parliamo sempre di lotta, intendiamoci, tra chi protegge il Wunderkind e tutto quello che si accompagna ad esso, e chi vorrebbe usarlo e distruggerlo, ma è una lotta che fino alla fine non palesa la sua identità. Si tratta del bene contro il male?O del male contro male? Quale delle combinazioni possibili rappresenta lo scontro di cui Caius è protagonista? Impossibile dirlo perché su cosa voglia dire essere il Wunderkind il libro non dà conto. Ed è questa indeterminatezza la chiave del libro, se vogliamo la sua delizia ma anche la sua croce.

La delizia. Se sapessimo cosa è davvero il Wunderkind (sappiamo cosa accade se compie una Permuta, ma nient’altro), il libro scivolerebbe verso il solito andamento: fanciullo dotato di talenti o di destino già scritto, impegnato con la presa di coscienza di cosa è/cosa deve fare, con un corollario di “aiutanti” più o meno limpidi. E invece… non sappiamo chi sia il Wunderkind e cosa lo renda così speciale quindi il libro guadagna un mistero e una tensione che lo svelamento, anche finale, avrebbe, forse, sciupato.

La croce. Perché, diciamocelo, grazie a questa bella furbata narrativa, l’autore ha driblato i problemi relativi alla gestione di una trama complessa, limitandosi a fare un’overview sull’ambientazione, sui personaggi e sulle torture. Dopo un libro intero, non sappiamo ancora che cosa sia il protagonista, che grave infrazione alla Legge abbia commesso facendo una Permuta, chi siano gli amici e i nemici, e praticamente il finale riporta all'inizio del libro. Come non sapevamo nulla all'inizo, così sappiamo poco e niente alla fine. Non è frustrante, eh, è solo che è come se nn avessi letto nulla che aiutasse a fare il punto della storia tanto è che, raccontando la trama a Rob, mi sono trovata in estrema difficoltà. Ripensando agli avvenimenti, cosa è davvero successo in questo libro? Un ragazzino è rimasto orfano, ha un destino particolare e qualcuno cerca di usarlo. Stop.
Per molti è questa originalità di fondo nella struttura narrativa, il vero pregio di Wunderkind, la vera chiave della genialità di D'Andrea.
Personalmente, per la lettrice che sono io, a me è sembrato di leggere il buon prologo di un promettente libro.... :P

Complessivamente la lettura è stata avvincente per l’atmosfera che D’Andrea è riuscito a ricreare, anche grazie a un lessico evocativo, ma peccato che, stringendo, lo svolgimento narrativo non sia stato proprio all’altezza.
Oh, magari poi è un problema di genere, e qui torna la mia non conoscenza approfondita di un genere assolutamente ibrido, più orientato all'horror, di cui Wunderkind è un esempio.

martedì 24 febbraio 2009

Martin 1.0


Leggo oggi su Fantasy Magazine che l'amato/odiato Martin sul suo blog ha fatto qualche precisazione in merito alle continue proteste dei fan sui tempi di scrittura di A Dance with Dragons, quinto volume della pachidermica saga delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.

Essenzialmente Martin non ne vuole sapere di fare previsioni sulla data di conclusione e usicta del romanzo, semplicemente perchè non ha potere di preveggenza e rischia di sbagliare. Già in passato ha dato notizie rivelatesi inattendibili e, no, non ha mentito ai lettori, semplicemente si è sbagliato.
E' stanco di essere aggredito dai fan che, ad ogni data disattesa, protestano pubblicamente magari proprio sul blog e poi dice qualcosa riassumibile con questa frase:
"Non intende comunque entrare nello specifico, a suo giudizio parlare di un’opera nel corso della sua realizzazione non aiuta mai. L’arte non è una democrazia, e si tratta di problemi che deve risolvere lui stesso."

Ora, al di là della discutibilità di una simile affermazione, parlando in altra sede con Fed di questa notizia, ho maturato qualche considerazione:

a) gli autori che diventano famosi si dimenticano di quando i fan erano necessari e li fanno diventare un problema

b) che la professionalità è merce sempre più rara

c) che le mancanze vanno sempre gentilmente declinate

d) che forse chi non è pronto in rete a dialogare davvero, è meglio che non lo faccia

e) che troppo spesso il web autorizza lettori e fan a dimenticare l'educazione (ma forse sono persone maleducate anche off line)

Detto ciò, quello che non capisco di Martin è dove voglia andare a parare quando ha di queste uscite. Che sia lento si sa, che abbia creato un'opera monumentale in cui ora si è un pò aggrovigliato, si può presumere. Che sia un tipo dai nervi facili, e che abbia certo fan un pò esagitati, anche questo è abbastanza chiaro.

Ma non è contento di questo? Sarebbe più felice di vedere di non aver regalato emozioni, di vendere tre copie in croce nell'indifferenza più totale? Non posso pensare che il senso di asfissia dato da un centinaio di persone che chiedono da un paio di anni di avere un'informazione un pò più certa, sia così gravemente pernicioso per un genio come Martin.
A meno che detti fan non organizzino picchetti di protesta sotto casa sua, rendendogli impossibile anche andare a fare la spesa. Di norma chi si sente braccato, sa inconsciamente di avere qualche torto...


Comunque, per quanto mi riguarda, ciò che è veramente irritante di Martin è che mi ammazzi sempre i personaggi preferiti o me li mutili in modo irreparabile! Quanto al resto, senza di lui sopravvivo uguale.

lunedì 23 febbraio 2009

Hancock


Qualche giorno fa io e Rob abbiamo visto un film che ci ha lasciati un pò spiazzati. Fortuna che non ci abbiamo speso una lira per vederlo, nemmeno i dindi del noleggio...insomma, avete capito...

Trattasi di Hancock, il film più senza capo nè coda che io abbia mai visto.

Ne avevo solo un vago ricordo attraverso i fotogrammi di qualche trailer che mi era capitato di vedere in occasione dell'uscita e ricordo che l'idea di un supereroe un pò diverso, un pò scostumato, non mi era dispiaciuta.
Ritiro tutto, vostro onore.


E' un film sconclusionato, che non ha deciso cosa essere, se una pellicola di azione, drammatica o di avventura, gli attori sono improvvisamente regrediti allo stato di debuttanti al primo ciak, e la trama risulta poco coerente e assolutamente non coinvolgente. Vorrei davvero dire qualcosa di più, ma è praticamente impossbile.

Tutto inizia e finisce in Hancock, potenzialemente un bell'antieroe, praticamente un disadattato con una pseudo storia difficile alle spalle, che scopre di non essere l'unico della sua specie. E' stato creato per accompagnarsi a una donna della sua razza ma, per renderli più mortali, un misterioso creatore ha deciso che, più stanno vicini, e più perdono poteri fino alla morte. Perciò i poverini, sono millenni che si lasciano, si ritrovano, vengono condannati e perseguitati dalle varie società, sacrificandosi di volta in volta l'uno per l'altra affinchè l'altro viva.
Domanda: ma perchè crearli forzutissimi e eterni ma crearli _in coppia_ sicchè stando vicini si indeboliscono?? Cioè, perchè??? Dice la donna: "per renderci più umani, capaci di vivere emozioni".
L'intento è nobile, il risultato è esilarante.
Il tutto viene narrato in modo molto asettico e affastellato, con progressioni narrative degne di un centometrista e con coerenza prossima allo zero.

Gli attori, ahimè, si saranno anche divertiti a fare film un pò diverso dal loro ultimo trend, ma sono davvero fuori parte. Charlize, darling, è un film leggero, non è Via Col Vento, sciogliti un pò! Per non parlare di Smith che, porello, a ripensarlo nelle vesti di Io sono Leggenda, verrebbe da ucciderlo per come si è ridotto.
Ma si sa, in quetsi casi la colpa non è degli attori che, alla fine, si sono adeguati anche loro a una storia-non storia stiracchiata in ogni angolo e priva di qualsiasi spessore cercando di metterci del loro per riempire gli evidentissimi buchi. Manca la storia e quando è così non c'è bravura che tenga.

Insomma, nel complesso è una pellicola incerta, incoerente in molte parti e poco credibile in tutte le altre. Però mi ha fornito un' importante risposta.

Da un pò mi rammarico del fatto che al cinema non si sceneggino supereroi originali, preferendo il porto sicuro di fumetti di successo o remake di vecchie pellicole.

Dopo aver visto Hancock direi: Marvel, grazie di esistere!!!

martedì 17 febbraio 2009

Vampiri e dintorni


Oggi sul Corriere della Sera ho trovato questo articolo che fa un pò il punto sul successo dei vampiri-non vampiri che affollano le librerie e riempiono i cinema in questo periodo.
E lo fa a 360° dando interpretazioni psicologiche, sociologiche e pure un pò politiche, della figura del vampiro dalla tradizione a oggi. Il pezzo mi ha fatto fare qualche riflessione sparsa che vi propino ^^

L'articolo, stringendo, dice un pò quello che ha detto anche Mr King quando parlava di Twilight e della sua versione soft di sessualità e passionalità.
Vengono riportate dichiarazioni psico-sociologiche a sostegno/chiarimento della tesi per cui Edward
e compagnia non rappresentino altro che l'amore pre-adolescenziale come afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli quando dice:
"Finito il freudismo, abbiamo vampiri con dentini da latte, giusti per questa generazione di ragazzi senza una forte identità di genere: giovani maschi ben vestiti, pettinati, che provano un richiamo sessuale molto debole. E che hanno una sublimazione molto più eterea, come nell'Edward di Twilight ".
Impossibile dargli torto. Ci siamo trovati molte volte a rilevare che i vampiri della Mayer saranno anche capaci di provare forti sentimenti, ma la carnalità del sangue per come la si è sempre intesa nella letteratura fantastica-horror, è ben altra cosa. I vampiri di oggi non succhiano più il sangue dal collo delle vittime, non si sporcano le mani della loro linfa vitale.
Saranno anche più educati, più romanticoni, ma hanno perso inevitabilmente il fascino magnetico, un misto di terrore e desiderio, che proviene dalle loro figure. I vampiri, nella tradizione, erano creature stupende e lo erano per un motivo ben preciso, non solo per un vezzo lettarario: erano come piante carnivore, meravigliose a vedersi ma assolutamente letali per il malcapitato che si lasciava attirare da tanta bellezza. Incarnato diafano, tratti seducenti, gesti avvolgenti, tutto serviva ad attrarre la preda per poterne poi banchettare.
Ma adesso, a cosa serve la bellezza dei vampiri? A lasciare a bocca aperta le adolescenti.
Credo che
Dracula, se non fosse stato già decapitato, trafitto al cuore e bruciato, si sarebbe davvero rivoltato nella tomba...

Secondo Gianfranco Manfredi:
"il non-morto ripropone il quesito su dove sta il confine tra la vita e la morte. È una domanda estremamente attuale. Tutti, adolescenti e adulti, si interrogano su questi confini. Certo, così entrano in gioco temi che riguardano il soprannaturale (c'è una vita dopo la morte, ecc.) che da sempre la Chiesa, quella cattolica in particolare, considera suo monopolio. E infatti gli ambienti ecclesiastici non guardano di buon occhio le feste di Halloween, Harry Potter, il gothic e ora i vampiri». Ma la letteratura fantastica e l'horror piacciono molto agli adolescenti. «E oggi gli adolescenti sono una parte importante del mercato editoriale»
Eggià vita e morte, creature sospese tra l'una e l'altra, incapaci di morire ma legati, per vivere, a ciò che nutre i nostri corpi.
Significati intrecciati, metafore nelle metafore, che danno uno
spessore unico e irripetibile ai vampiri. Chiesa o non Chiesa, editori o non editori (non mia ddentro nel tema, eh, tanto già sapete come la penso).
Solo che i vampiri di oggi difficilmente bevono sangue e, se lo fanno, sono politicamente, ed
eticamente, corretti. Si pongono scrupoli (esseri umani no, animali si) ma, a scanso di ire animaliste, si buttano spesso su improbabili surrogati sintetici.
Mi viene da pensare che nella progressiva mania che sta colpendo la nostra epoca, di eliminare tutto ciò che non sia socialmente accettato anche quello che è caratterizzante la diversità verso un appiattimento abbastanza inquietante, anche i vampiri debbano smettere di fare il loro onesto lavoro se vogliono stuoli di fan. Non importa che il vampiro è quello che è per ciò che fa, l'importante è tenere il simbolo, svuotarlo del suo significato, e plasmarlo a uso e consumo dei gusti correnti.
Ma io dico: se i vampiri sono troppo orrorosi, perchè non leggere e innamorarsi di qualcos'altro?
Perchè ostinarsi a snaturare le cose quando ci sono mille alternative?

D'altra parte, sottoscrivo anche l'opinione che dal Times, ha scritto Leslie S. Klinger:
«Il
vampiro contemporaneo rappresenta l'outsider sensibile, solitario che vive in disparte dalla società cosiddetta normale» . È l'ultima incarnazione di una figura cara alla cultura giovanile, il bad boy o la bad girl: «il bastardo bello e tormentato, che affascina eppure fa paura». Insomma, l'Edward di Twilight come un nuovo James Dean. Sì, però — è sempre Klinger che lo scrive — questa nuova Vampire Lit «non dà i brividi, quelli che il vecchio Dracula continua ancora oggi a regalare».
Oddio, Edward come James Dean. Brr. Però la realtà è davvero questa. Ogni epoca ha il suo idolo bello e dannato, ogni generazione hai suoi capelloni e le sue zampe di elefante. Soprattutto, ogni età ha un eccesso da affrontare e da superare.
Prima erano alcool e droga, non a caso tutti i belli e dannati erano alcolizzati e assuefatti alle
droghe, ma poi tali mostri sono stati metabolizzati e superati. Oggi è il turno della morte di cui tanto si parla in questi giorni.
Se è vero che i vampiri sono sempre stati vissuti con paura, con timore, associati persino alla dannazione eterna, oggi li si usa per esorcizzare la paura della morte facendola passare attraverso la pelle di svarowsky di Edward. Il vampiro, paradossalmente, non serve più a rabbrividire di paura ma a familiarizzare con l'idea più difficile in assoluto: la morte.

Fuori di filosofia, resto dell'idea, come Klinger, che il vecchio Dracula continui a donare brividi di gran lunga più desiderabili ma sono brividi particolari, legati a un sentire forse più maturo, più consapevole, più rispettoso della diversità (sei vampiro ok, "accetto la tua natura e mi fai paura", non "accetto la tua natura e so che mi amerai...") e meno adolescenziale.

martedì 10 febbraio 2009

Sig. King come mai?


Se avesse saputo che, a dirne male, le avrebbe fatto tutta questa pubblicità, forse Stephen King si sarebbe risparmiato le critiche che ha, invece, mosso alla Meyer, l'autrice di Twiligth, per capirsi.
In un'intervista rilasciata a Usa weekend, il re dell'horror si è tolto più di un sassolino dalla scarpa facendo trapelare qualcuna delle sue opinioni riguardo alle capacità di scrittrice e di inventiva della Meyer.

L'intervista in inglese la potete leggere qui, io vi cito alcuno passi e ringrazio Fed per la traduzione:

SK: "The real difference is that Jo Rowling is a terrific writer and Stephenie Meyer can’t write worth a darn. She’s not very good."
"la vera differenza è che Jo Rowling è un'ottima scrittrice e Stephenie Meyer non è in grado di scrivere un accidenti (io tradurrei 'una beneamata minchia' NdFede). Non è per niente brava"

SK: "it’s very clear that she’s writing to a whole generation of girls and opening up kind of a safe joining of love and sex in those books. It’s exciting and it’s thrilling and it's not particularly threatening because they’re not overtly sexual."
"E' chiarissimo che sta scrivendo per un'intera generazione di ragazzeche si avvicinano a un'idea rassicurante di amore e sesso. Emozionante ed eccitante, ma non particolarmente minaccioso perché non apertamente sessuale"

Che dire. Ho cercato di farmi un'opinione su questa faccenda ma onestamente non ci sono riuscita. Se da una parte è vero che, stringendo, King non ha fatto altro che dare voce a ciò che molte persone pensano della Meyer e del suo successo ingiustificato, dall'altra il sognor King mi fa pensare che stia come dire, rosicando. Anche se è una cosa che non ha senso perchè non parliamo proprio dell'ultimo degli scrittori nè per vendite nè per spessore. Davvero ha bisogno di certe affermazioni per rimbalzare in mezzo web? Infondo, non può ignorare che al momento, se la Meyer starnuta, lo vengono a sapere in Australia e in Papuasia.

Dunque perchè? Si, ok, è stato interpellato e, si sa, a domanda precisa si risponde con precisione. Eppure... c'è qualcosa che mi ha dato fastidio nel tono di King. Forse quel tocco di presunzione che, di norma, abbonda sulla bocca degli invidiosi. Perchè, oggettivamente, il successo della nostra a chi non farebbe invidia per come è stato raggiunto?
A me hanno insegnato che l'indifferenza è la migliore delle armi...forse, a non dare peso alla questione Meyer, le si sarebbe evitata tanta pubblicità gratuita. Voi che dite?

Cambiando argomento, sul fronte letture, ho iniziato Gli Ultimi Incantesimi di Silvana De Mari e devo dire che il libro già mi piace molto. Purtroppo Marco Davide con La Lama del Dolore e Ester Manzini con L'Abbraccio delle Ombre non hanno avuto eguale fortuna. Spero di riprenderli in mano più in là. :)

lunedì 2 febbraio 2009

Lasciami Entrare- recensione libro


Non è facile commentare Lasciami Entrare, l'horror dello svedese Lindqvist che ha catturato l'attenzione del pubblico mondiale grazie all'omonimo film uscito al cinema sotto natale. Anche a distanza di qualche giorno dalla fine della lettura, non è facilissimo mettere ordine nell'intrico di sensazioni lasciato nella mente e nel cuore di chi ha conosciuto Eli e Oskar dalle pagine del libro.

Ho già parlato di Lasciami Entrare film in questo post, e devo riconoscere che, sebbene di norma io preferisca leggere prima i testi e poi vederne gli adattamenti cinematografici, sono stata molto soddisfatta di non aver seguito la tradizione, per una volta. Leggendo il libro dopo il film, ho gustato e capito cose diverse sia dell'uno che dell'altro sperimentando una sensazione che non provavo da anni: il film è stato perfetto, e non ha tradito neppure di una virgola l'atmosfera del libro.
La povertà, il disagio, la solitudine e la disperazione che dominavano nel film, sono esattamente le sensazioni che si respirano nel libro tanto che persino gli elementi di diversità, non sono affatto fastidosi. Anzi.

Ok, ma questo era il commento del libro non del film, avete ragione.

La trama è, credo, nota.
A Blackeberg, quartiere degradato alla periferia ovest di Stoccolma, il ritrovamento del cadavere completamente dissanguato di un ragazzo segna l'inizio di una lunga scia di morte. Sembrerebbe trattarsi di omicidi rituali, ma anche c'è anche chi pensa all'opera di un serial killer. Mentre nel quartiere si diffonde la paura, il dodicenne Oskar, affascinato dalle imprese dell'assassino, gioisce segretamente sperando che sia finalmente giunta l'ora della rivalsa nei confronti dei bulletti che ogni giorno lo tormentano a scuola. Ma non è l'unica novità nella sua vita, perché Oskar ha finalmente un'amica, una coetanea che si è appena trasferita nel quartiere. Presto i due ragazzini diventano più che semplici amici. Ma c'è qualcosa di strano in Eli, dal viso smunto, i capelli scuri e i grandi occhi. Emana uno strano odore, non ha mai freddo, se salta sembra volare e, soprattutto, esce di casa soltanto la notte... "Lasciami entrare" è una tenera e crudele storia d'amore, vendetta e vampiri, un racconto fantastico e commovente sul dolore dell'infanzia e la forza dell'amicizia, dove sangue e orrore devono piegarsi alla potenza dell'amore e alla voglia di vivere.

Il libro ha 4 grandi pregi: lo stile e il ritmo, la coralità,la varietà dei temi, la delicatezza nel trattarli.

Per quanto riguarda il linguaggio, LIndqvist ha uno stile asciutto che gli permette, con poche parole, di "catturare" le emozioni nel modo più essenziale possibile. Intendiamoci, non è povero di parole anzi, a suo modo è abbastanza prolisso, ma sa scegliere i termini di per se stessi più "carichi" di significati facendo guadagnare alla prosa una evocatività molto spiccata. Il ritmo della narrazione è perfetto, perchè alterna più punti di vista, sposta continuamenteil lettore da un personaggio principale ad uno secondario facendo in modo che tutto si incastri (vedi punto dopo).
Solo una pecca, a mio parere. Forse se n'è accorto anche l'autore tanto che nella stesura della sceneggiatura del film, il pezzo incriminato lo ha bello che tagliato. Mi riferisco alla parte centrale-finale in cui ci si avvita sulla non morte del protettore di Eli, decisamente lunga e rallentante soprattutto perchè inserita nella parte finale del libro che, invece che essere dedicata a Eli e Oskar, si è spostata sulla caccia al mostro. Ma davvero, è un dettaglio.

La coralità. Oskar e Eli sono i protagonisti indiscussi del libro ma i personaggi comprimari sono costruiti con estrema cura sia nella creazione del background esperenziale che si portanodietro, sia nella loro emotività. Riescono a essere un ottimo sfondo, lì dove non diventino vera e propria parte integrante delle vicende principali, contribuendo a creare un'ambientazione armonica.Seppure armonica nella miseria e nel degrado.

La varietà dei temi. Essì, perchè Lasciami Entrare parla dell'amore impossibile tra un essere umano e una vampira, di un amore tra _diverse_ creature nell'accezione più ampia che si possa dare al termine diversità. Parla di disagio giovanile e di solitudine, parla di pedofilia e di violenzagratuita, parla di Amore e Odio, di tutto l'amore e l'odio del mondo.Bhè, direi che ci sarebbe da far impallidire chiunque. Toccare in un sol libro, per di più fantastico, tutta questa abbondanza di tematiche, non è affare da poco e, ancor più difficile, è non rendere banale e confuso il tutto. Ma Lindqvist ce la fa egregiamente, riuscendo a caricare la stora di tanti livelli di lettura e di interpretazioni tanto che molti sono i palati in grado di gustarlo, non solo necessariamente quelli malati come me.

La delicatezza nel trattare temi potenzialmente difficili, di cui la pedofilia e le perversioni sessuali di talune creature, sono solo un esempio.
Dalla prosa di Lindqvist non emerge mai un giudizio morale sui comportamenti e sulle tendenze dei suoi personaggi. Non c'è condanna o apprezzamento, c'è semplicemente la presentazione delle cose, dei sentimenti nudi e crudi. Lindqvist è un osservatore e un narratore, non è mai giudice e affida al lettore l'interiorizzazione e la valutazione di quanto sta leggendo.
Quello che mi è piaciuto, in sintesi, è ciò che ho apprezzato nel film (torniamo al discorso del film, è inevitabile!) inclusa la mancanza di risposta alla questione se sia vero amore tra Eli ed Oskar oppure se la secolare fame di sopravvivenza di Eli l'abbia portata a procacciarsi l'ennesimo"protettore". Infondo anche Hakan era innamorato alla follia di Eli. Se così fosse, però, non facciamo gli ipocriti condannando Eli. Quante volte abbiamo avvertito che due persone facevano coppia solo per convenienza e per non stare da soli? Ecco, e dubito che costoro potessero avere l'alibi di essere vampiri secolari bloccati in corpi da ragazzini.
C'è però una scena che mi è piaciuta vedere più al film che leggere nel libro ma la metto nello spoiler così non vi guasto la sorpresa.

Spoiler:
Oltre al taglio di cui sopra, mi è piaciuta molto di più la scena finale, della furia di Eli che si scatena nella piscina dove Oskar sta per lasciarci le penne. Il libro affida ai resoconti della stampa del giorno dopo, la descrizione dellaviolenza devastatrice che si è consumata in piscina, mentre il film fa proprio _vedere_ in tempo reale quello che accade attorno a Oskar... una scena dura e pura che il libro non restituisce.

Domandone: libro o film?
Rispostona: e perchè non tutti e due?

giovedì 22 gennaio 2009

Miscellanea


Questo è un post riparatore con cui chiedo umilmente scusa a tutti coloro che hanno avuto la gentilezza di assegnare a questo blog un premio negli ultimi mesi e che non ho debitamente ringraziato. E siccome, nel mentre, l'età è avanzata e la memoria si è accorciata, non me ne
vorrete se non vi nomino tutti, vero??
GRAZIE!!!!


Per il mio vent....esimo compleanno ho ricevuto molti doni a tema fantastico, in primis queste due bellezze:

Fatina Thun

Unicorno Thun
Ora ho la scusa per iniziare anche questa collezione fantastica (in tutti i sensi :P)!!!


Poi ho ricevuto questo:
Gift Card della Feltrinelli
Ora il dilemma è: cosa ci compro? Un libro che nn comprerei mai con i miei dindi oppure un libro di quelli che attendo con ansia per questo 2009? Son dibattuta, sapete?? Però, calcolando che, all'atto pratico, questo buono rapprensenta dei soldi che ora sono MIEI, ecco, dovrei optare per la seconda ipotesi.
Quest'anno dovrebbero uscire parecchi libri interessanti, specialmente seguiti di saghe già iniziate, tipo Rothfuss e Lynch, voi che altre gustose news avete?

E questo:
Un gioco di carte da tavolo a tema vampiresco ma non troppo, che sto studiano diligentemente. Si prospettano serate da brivido! :D

E pure questo:

FINALMENTE E' MIO!!!


Visto che il post ha un titolo inequivocabile, aggiungo anche un'altra informazione a tema pubblicazioni su Lulù. L'amico Sean MacMalcom ha pubblicato in cartaceo cinque racconti di Midda’s Chronicles, la blog novel che da qualche anno è possibile leggere sul suo blog.
Personalmente non l'ho ancora letto, stavolta attendo io le vostre rece!
Chi volesse acquistarlo può andare qui, e chi volesse fare anche un pò di beneficenza restasse su quella pagina perchè la vendita del libro aiuterà anche altre persone.

martedì 20 gennaio 2009

Un Tiro Perfetto


Seymour Seamoore, scrittore sconosciuto ai più, con la sua opera prima ha fatto un ottimo lavoro capace di convincere anche una lettrice puntigliosa come Mirtilla.
E' un fantasy particolare, il suo, un fantasy che qualcuno definirebbe adulto nella misura in cui lo sono i romanzi della Bradley o della Leguin. Questo non vuol dire che Un Tiro Perfetto (titolo discutibile, questo è innegabile...) sia violento o porno, vuol dire semplicemente che i livelli di lettura della storia sono molteplici e interpretabili da prospettive diverse, sociologiche e antropologiche, ad esempio. E ' un libro che è insieme, vicenda e studio di gruppi umani è avventura e scoperta del significato della responsabilità dei singoli nei confronti della collettività; è confronto e convivenza di fede e laicismo. Di certo, un mix particolarmente originale.

La storia ruota attorno a una tribù di abilissimi arcieri costretti a fuggire perchè braccati eminacciati di sterminio da malvage creature chiamate lupi. Gli Atarur, questo il nome della tribù, lascia dunque la Malaterra e affida la sua sopravvivenza alla guida di morte Aessin. Suo è il compito di portare in salvo la sua gente, una manciata di arcieri, anziani, bambini e una regina, cercando di scampare agli agguati letali dei lupi. Nel loro allontamento, per la prima volta dopo centinaia di anni, scoprono di dover avvicinare le Terre Civilizzate e le altre sei razze di Inear, comprendono di dover abbandonare tradizioni fattesi pericolose per la sopravvivenza della tribù, e capiscono faticosamente che nessuna crescita è esente da sofferenza. E da follia.
La maturazione degli atarur coincide con la maturazione di Aessin, la sua presa di coscienza che solo nel riconoscimento del pericolo condiviso, risiede la soluzione per le guerre tra razze, rapprensenta il momento più inatteso dell'intero libro. Cosa accadrà quando, a guerra globale finita, le razze si troveranno a dover ricostruire un mondo dalle macerie di una follia che non può essere ricondotta solo alle responsabilità degli atarur? Basterà accusare gli "altri" di aver provocato la morte, o occorrerà riconoscere l'inevitabilità di taluni gesti e costruire da lì il futuro?

Ciò detto, cosa mi è piaciuto del libro?
Bhè, la complessità di temi di cui vi ho appena parlato sarebbe già un motivo sufficiente. Ma aggiungo che mi è piciuto il modo con cui è stata curata l'ambientazione che dimostra un'attenzione notevole al dettaglio: tutto è coerente, il linguaggio (il riflessivo "rotolarsi" non avrà mai più lo stesso significato, per me!), le unità di misura e di conteggio, la ricerca di coerenza all'interno della costruzione delle Leggi, delle tradizioni e del Codice di vita sia degli atarur che di tutte le razze di Inear.
Mi è anche piaciuta tanto l'idea della profezia, vista non come la solita imponderabile spada di damocle sulla testa di giovani personaggi ignari e, normalmente, gravati dalle responsabilità. In Un tiro perfetto a questa visione se ne sostituisce una in cui la profezia è soprattutto "ricorrenza delle cose", "motore" del mondo e costruttrice di storia. E poi c'è una sessualità aperta e giocosa, spensierata e sempre "normale", sentimenti delicati ma intensi, il tutto scritto con uno stile scorrevole che non sacrifica varietà e ricchezza espressiva.

Ok, allora + un libro perfetto? A dispetto del nome, direi di no, il libro qualche difetto ce l'ha.
L'autore, come avrete capito, mette tanta carne al fuoco, tirando in ballo argomenti e riflessioni tanto dure quanto attuali. C'è di tutto nel testo: tradizione e progresso, singoli vs collettività, sistemi di potere verticistici e distribuiti, deità e laicismo...insomma, a volte mi è parso di riassistere alla manifestazione di sapere a tutto campo che caratterizza Dimitri! Il tutto in 200 pagine scarse.... Ecco, avrei tagliato qualcosa, a vantaggio di una focalizzazione mirata solo su certi temi. A meno di non voler traformare il romanzo in un saggio socio-antropologico in chiave critica...
Inoltre, il libro manca un pò di emozione. A dispetto di quanto detto, specialmente sul finire quando l'equlibrio delle cose si spezza, mi sarei aspettata di vivere un coinvolgimento emotivo più forte e di leggere eventi meno frettolosi, in modalità meno "da spettatore". La prima parte del testo, infatti, approfondisce molto la cultura degli atarur nel rapporto con la Malaterra e le altre razze, ma la parte conclusiva è molto più sbrigativa.
E il linguaggio? Il modo di esprimersi degli atarur mi è parso un pò contraddittorio, molto eplicito e volgaruccio nella prima parte, poi improvvisamente ripulito nel cuore della storia. A tratti mi pareva che l'autore proprio non fosse riuscito a reprimere l'istinto di usare intercalari sguaiati!! Diciamo che, un pò di limatura qua e là (editing???? :D), Un Tiro Perfetto avrebbe potuto averlo, ovviamente secondo me, eh. (c'è roba peggiore in giro, questo è certo, ma questo non ci autorizza ad essere sbrigativi, no???)

Bene. Ora dovete sapere una cosa. Questo libro, che tanti pregi e difetti ha, è autopubblicato su Lulù. E chi legge questo blog, conosce inconsapevolmente, anche il suo autore, ... Alladr, al secolo Adriano Allora.

Come sapete non mi sono mai pronunciata sulla faccenda dei libri autoprodotti semplicemente perchè non ne avevo mai letto uno. Se fossero tutti come Un Tiro Perfetto (ma sto titolo è brutto!!), noi lettori saremmo tutti più ricchi. Non sono mai stata dell'avviso che tutto ciò che viene scritto debba essere necessariamente pubblicato, non esiste, ma mi ha fatto piacere scoprire che nel cassetto di qualche italica aspirante gloria, oggi editorialmente difficle da collocare, si nascondeva qualcosa di buono. Che adesso, volendo, possiamo leggere tutti.

venerdì 16 gennaio 2009

Nascita di una Mirtilla



Siccome si nasce sempre allo stesso modo ogni anno, replico quanto già detto per il ventottesimo.... (tanto per non fare sembrare troppo reale che sia già finito, sigh).
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Era un giorno come un altro, nel piccolo villaggio di contadini addormentato ai piedi del Monte Majella . L'impietosa pioggia di gennaio non voleva smettere di cadere sui tetti di paglia e continuava imperterrita a picchiettare sulle stradine sterrate ormai percorse da decine di rivoli di acqua scura. Era un sottofondo a cui gli abitanti del villaggio erano abituati tanto da non farci più molto caso e la vita scorreva come al solito: il fornaio si era svegliato dall'alba per sfornare le sue pagnotte, il calzolaio dava forma alle tomaie e la sarta creava indumenti per la prossima festa di paese.
Solo la bottega del fabbro rimaneva ostinatamente chiusa lasciando il villaggio orfano dei ritmici colpi del martello sull'incudine. "E' per Angela, sua moglie, il bambino vuole nascere prima del tempo" si mormorava tra le umide stradine del paese. Sguardi curiosi ed apprensivi erano rivolti alla bottega sbarrata.

Il fabbro aveva dormito poco e niente quella notte. La giovane moglie al suo fianco si agitava nel letto in cui era bloccata ormai da mesi. Il bimbo, o la bimba, che portava in grembo aveva più volte corso il rischio di non vedere mai la luce del sole in quei mesi di lunga attesa. Angela, accudita dalla madre che viveva con loro, non si era mai lamentata di nulla, mai un gemito di troppo, mai un rimpianto. La gioia di diventare madre dopo molti tentativi cancellava ogni sofferenza.

Ma quella mattina le cose erano precipitate e il fabbro era stato costretto ad accompagnare la vecchia ostetrica dalla moglie in tutta fretta. Era presto, almeno un mese di troppo per partorire, ma il corpo stremato di Angela non poteva più trattenere il bambino. Ora l'ostetrica e la futura mamma erano chiuse nella camera matrimoniale e il fabbro non poteva fare altro che attendere. Era calmo e fiducioso all'apparenza ma ogni rumore proveniente dalla stanza lo faceva sussultare.

Fu una lunga attesa, fatta di acqua calda, volti tirati e parole dette a mezza bocca. Il travaglio durò fino a sera ma quando l'ostetrica aprì la porta e sorrise al neopapà, il fabbro si precipitò da Angela e la trovò pallida, esausta, ma con il loro pargolo, minuscolo e fragile come porcellana, tra le braccia. Un sorriso dolce le piegava le labbra: "Una bimba" mormorò con un filo di voce. Al fabbro si fermò il cuore in gola e con un pizzico di goffaggine provò a toccare la creatura che però, al tocco ruvido della mano, iniziò a piagnucolare. Angela rise ed anche il fabbro con lei.
La notizia corse veloce nel piccolo villaggio ai piedi del Monte Majella e gli abitanti, incuranti del tempo infausto, festeggiarono la nuova arrivata fino a tarda notte.

"Che nome avete scelto?" chiedevano "Mirtilla, ovviamente!" rispondevano i due ridendo.

mercoledì 14 gennaio 2009

Lasciami Entrare- recensione film


Avete presente le storie di vampiri della Rice? E di Stoker? E quella della Mayer? E di Matheson?
E avete presente certi film a base vampirica ricchi di sete, trine, atmosfere gotiche e decadenti, storie a base di guerre soprannaturali tra succhiasangue e cacciatori? E avete presente l'amore tra vampiri e umani? Immagino di si...

Bene, mettete da parte tutto per un pò e chiudete gli occhi. Immaginate un quartiere popolare del nord europa,della Svezia, ad esempio. Immaginate il bianco, candido, accecante, desolante, della neve perenne che avvolge strade,case, alberi e fiumi. Immaginate un ragazzino introverso vittima delle angherie dei compagni di scuola, desideroso di vendicarsi ma troppo remissivo per farlo e poi lei, una ragazzina magra e pallida che esce di casa solo di notte, sola e costretta dal fardello di un inquietante mistero. Immaginate che una sera le vite dei due ragazzi si incrocino nel cortile innevato dello stesso condominio e che la timidezza del ragazzino, che chiameremo Oskar, si sciolga pian pano negli occhi innaturali di Eli, così chiameremo la misteriosa bambina. Immaginate che la ragazzina riesca, con le sue parole, a spronare oskar ad avere coraggio e che,per questo, Eli diventi presto ben più di un'amica. E non dimenticate di pensare a una serie di orrendi omicidi, violenti ed orrendi.
Immaginate che Oskar si innamori di Eli tanto da decidere, un giorno, di fare un gioco con lei: scambiarsi un giuramento di sangue. Immaginate che la ragazzina impazzisca al solo odore del sangue e riveli a Oskar la sua terribile natura di vampira. Pensate per un attimo a lei che spiega con parole dure e infantili che il suo è un bisogno, che beve sangue perchècostretta a farlo e non certo per vendetta o per piacere. Pensate alla fiducia totale tra Eli e Oskar, lei nello svelarsi e lui nell'accettarla.
Immaginate quanta aspra dolcezza si nasconda nelle parole e nei gesti di questa infanzia comunque emarginata. E pensate per un attimo a cosa significhino, adesso, l'uno per l'altra Oskar ed Eli.
Adesso, immaginate che la vampira debba fuggire perchè troppa è la scia di sangue e morte che si porta dietro, e immaginate che Oskar, rimasto solo, torni ad essere vittima dei suoi aguzzini. Quale potrà essere mai il destino di queste due creature tanto diverse eppure tanto simili quando il pericolo si avvicina?
Io non posso svelarvi anche questo. Aprite gli occhi, e andate a cinema o, meglio ancora, tuffatevi tra lepagine dell'omonimo libro horror -fantasy di Lindqvist, Lasciami Entrare, da cui è tratta la pellicola. La realtà supererà di gran lunga la fantasia...

Ho visto il film domenica e, ad essere sincera, le sensazioni e le atmosfere respirate nel film me le porto ancora addosso. Chiarisco subito una cosa: questo film non appartiene a quella categoria di pellicole epiche, avventurose,fantastiche o fantascientifiche che di norma mi esaltano.
Lasciami Entrare è una pellicola di quelle piuttosto lente, con inquadrature lunghe alternate a piani americani tipici di film d'introspezione. Normalmente mi sarei annoiata alla prima mezz'ora, ma Lasciami Entrare è un film ipnotico nel suo ritmo riccorrente, trascinante per la sua fluidità, essenziale nella fotografia realistica, coinvolgente per il suo pathos mai urlato ma sussurrato, insinuato.
Ed è coi silenzi e con le attese che il film crea situazioni tensive efficaci pur in mancanza di effetti specialiall'avanguardia. Lasciami Entrare recupera la tradizione di una cinematografia che non ha bisogno di storidire lo spettatore per emozionarlo ma che si rivolge all'essenziale, alla paura pura e semplice, all'attesa. Al silenzio che precede la tempesta.

E' un film molto introspettivo, capace di offrire livelli interpretativi diversi. Si parla si, della condizione di Eli, la giovane-vecchia vampira bambina, costretta a nutrirsi di sangue umano, ma si narra anche la solitudine dell'infanzia di provincia e la vendetta che cova nell'animo di qualsiasi creatura.
Sono poi tanto diversi la vampira e il ragazzino? Eli uccide per sopravvivere, ma anche Oskar pensa più volte alla violenza per vendicarsi. D'altra parte anche Eli, a volte, uccide per vendetta così come Oskar non esita a proteggere l'esistenza di Eli anche se questo vuol dire la morte di un innocente. Chi è più bestia, dunque?

Senza contare il finale, a mio parere apertissimo, che il film lascia in controluce. Non dico molto per evitarvi spoiler, ma siamo proprio certi che sia l'amore e l'affetto a spingere Eli a fare quello che fa, quanto piuttosto si tratti dell'ennesimo modo per sopravvivere nel tempo, lei la bambina che non crescerà mai? Infondo, Eli secoli addietro fece una scelta ben diversa rispetto a quella della donna in ospedale, quando si trovò a scegliere tra l' eternità di sangue e la morte...

Insomma, Lasciami Entrare film, anche se ha molte differenze rispetto al libro (che non ho ancora trovato in libreria ma di cui ho letto molto bene), rappresenta un'esperienza da fare perchè non ha nulla a che vedere con tutto quello a cui siamo abituati quando pensiamo ai vampiri e alle storie su di loro.
In Lasciami Entrare la dimensione soprannaturale si amalgama con la quotidianità, si stempera nella neve candida della campagna svedese e svela la sua umanità.

giovedì 8 gennaio 2009

Prince of Persia- commento


Qualcuno si sarà chiesto che fine abbiano fatto le letture fantasy della Mirtilla (un ma anche no va bene lo stesso, come risposta....) che ultimamente latitano sul blog. Come dicevo ieri a Imp, la colpa della mia assenza più recente è sua:



E' da prima di Natale che passo le serate in sua compagnia ma, tranquilli, Rob sa di me e del Principe! Del resto io a Prince of Persia non sono mai riuscita a dire di no, ho giocato sul pc gli altri tre famosi capitoli della saga e non potevo assolutamente perdermi il quarto capitolo. O meglio, diciamo il quarto episodio a nome Prince of Persia sfornato dalla Ubisoft.
E le alte aspettative non sono state affatto deluse, tanto che l'ho finito a tempo di record una prima volta e ora lo sto rigiocando con calma tanto per non farmi sfuggire nessun dettaglio.

Un pò di storia (fonte wikipedia)

Prince of Persia è un videogioco storico nel panorama mondiale, rilasciato da Brøderbund (software house statunitense, fondata nel 1980 dai gratelli Doug e Gary Carlston per pubblicare il videogioco Galactic Empire,) nel lontano 1989. Nel 1993 è stato pubblicato il secondo capitolo della saga Prince of Persia 2 The Shadow of the Flame sempre dalla Brøderbund ma è nel 2003 e seguenti che, lanciato dalla Ubisoft, la nuova trilogia: le Sabbie del tempo, Spirito guerriero, I due troni, guadagna davvero un successo planetario.
Nel 2008, nel recupero della tradizione, esce "Prince of Persia" il primo titolo di quella che si prospetta come una nuova trilogia ed è precisamente il videogioco di cui sono in fissa da settimane.

Cosa ha di speciale questo gioco, direte voi? I personaggi, la grafica, e il gameplay.

1) Il Principe darà anche il titolo al gioco, ma i protagonisti di questo capitolo sono due: il principe e la principessa Elika. Contrariamente al passato, la fanciulla ha un ruolo attivo sia nello svelamento della trama che nei combattimenti. Entrambe i personaggi sono costruiti con grande attenzione alla caraterizzazione. Se l'uno è un goliardico buon tempone che nella vita si arraggia derubando le tombe dei morti, l'altra è una nobile fanciulla dalla fede incrollabile che non scappa davanti alle responsabilità più onerose come quella di salvare la sua terra dal malvagio dio del Male Arhiman. Se il Principe crede nelle azioni degli uomini e nella loro capacità di mutare i destini avendo insopportabile l'idea di affidare a un dio la sorte dell'esistenza, così Elika è una devota seguace di Ormazd ed è in suo nome che porta avanti la missione.
Insomma, i due rappresentano i diversi modi con cui si possono affrontare gli eventi: col sorriso e lo sdrammatizzare continuo (il principe è a metà tra un rimorchione da discoteche e il classico bel tenebroso dal passato tormentato), o con la determinazione e il sacrificio. Tra l'altro rimagono tratti coerenti per tutta la durata del gioco, anche sul finale. Ripeto: ANCHE SUL FINALE.... da restare a bocca aperta ^^

2) La grafica, contrariamente al realismo spinto cui molti videogiochi di oggi aspirano (vedasi anche, della stessa casa, Assassin's Creed), Prince of Persia sceglie il cel shading che è una tecnica di modellazione 3D non fotorealistica finalizzata a far apparire le immagini generate tramite la computer grafica come se fossero disegnate a mano. E' una modalità diremo, cartoon, che ho gradito moltissimo.
Pensavo che avrebbe tolto fascino e credibilità alla storia e invece mi sono dovuta ricredere. Gli effetti grafici permessi da questa modalità sono eccezionali, il passaggio dalle terre contaminate dal male, nere e lugubri, alle terre fertili depurate e brillanti, è fantastico.

3)Il bello di Prince of Persia è la giocabilità che è in perfetto equilibrio: nè troppo complessa, ma neppure troppo facile.
Il forte del gioco restano i salti, le combo e le acrobazie aeree di ogni tipo (certi balzi ad altezze improponibili, fanno davvero venire le vertigini!) che devono essere effettuate con precisione ma non maniacalità (chi ricorada i primissimo Tomb rider e la frustrazione di sbagliare un salto per UN MILLIMETRO???).
La morte, poi, non esiste. La Ubisoft ha introdotto un meccanismo di gioco per cui un salto andato male, una spadata avversaria letale, non uccide il principe. Grazie all'intervento di Elika, egli torna in vita e può riprendere dall'ultima piattaforma utile. E' molto comodo, perchè vince la frustrazione del caricare ogni volta, e anche rapido, perchè è una sorta di "riavvolgimento" del gioco che non ha i tempi del classico caricamento. Insomma, a mio parere la giocabilità di questo capitolo del Principe di Persia accresce la godibilità della storia che risulta fluida e da gustare tutta d'un fiato.
A molti, per lo stesso motivo, potrà apparire estremamente facile (le combo, ad esempio, non sono tantissime), ma questa è tutta una faccenda di gusti.

Una nota dolente ce l'ha o no sto Principe?
Secondo me si, la trama. In alcuni momenti, l'accento molto ecologista del titolo, accompagnato da una trama estremamente lineare (luce contro tenebra, il cattivone si libera dalla prigionia e minaccia il mondo, solo Elika e il principe, ripristinando i suoli fertili, possono ridare potere al tempio di ingabbiare di nuovo il cattivone), non dà molta originalità al tutto.
Eppure............................ il finale riscatta anche questo, credetemi!!!!!!!!!

Insomma, giocare o no alla nuova avventura di Price of Persia? Assolutamente si!!!!