La ragazza di fuoco è forse il libro della trilogia che mi è
piaciuto di più. Normalmente i libri di “mezzo” delle trilogie non sono mai
coerenti come i primi o esplosivi (si spera!!!) come i terzi. Ma in questo caso
mi son dovuta ricredere: il ritmo della narrazione è così perfettamente
calibrato tra momenti di quiete (apparente), momenti di hipe (adrenalina pura)
e quelli di shock completo (da far cadere le mascelle a terra), che è
impossibile smettere di leggere.
Comprato su Amazon la mattina, finito di
leggere la sera dello stesso giorno (tanto per darvi anche la misura del tempo
INUMANO che passo sui mezzi pubblici della beneamata capitale per fare si e no
7 km casa-lavoro).
La trama, cercando di non spoilerare troppo: che Peeta e
Katniss siano in qualche modo entrambe sopravvissuti agli Hunger Games, questo
si è capito. La geniale e pericolosa trovata di Katniss sul finale dei giochi viene
però interpretata come un atto di sfida all’autorità di Capitol City quindi il
rientro al distretto 13 dei nostri eroi non è precisamente un ritorno all’eden, sia livello personale che "sociale".
Qualcosa si è mosso nei distretti di Panem e qualcosa di pericolosamente simile
alla rivolta inizia a impensierire anche Snow, l’infido tiranno di Capitol che
tutto sa e tutto conosce. Le cose tra
Katniss e Peeta non vano affatto bene:
la nostra eroina, fuori dagli hunger games, è assalita dai dubbi e da 1000
domande sul genere di sentimenti che la legano a Peeta (poraccio) e a Gale (io
lo odio, voi?), dubbi che rischiano di attirare gli occhi del regime… se è vero
che i due tributi sono riusciti a salvarsi grazie alla loro “love story” a
favor di telecamera durante i giochi, come può Katniss pensare di svelare la
dura realtà del suo opportunismo (ma siamo sicuri???) a fin di bene, senza
mettere nuovamente a repentaglio la vita della sua famiglia e dell’intero
distretto?
Non solo: è alle porte l’Edizione della Memoria degli Hunger
Games, che si svolgono ogni 25 anni. Una sorta di edizione celebrativa
del reality show che, guarda caso, per la prima volta in assoluto, visto che i
vincitori normalmente vengono esentati a vita dalla mietitura, porterà nell’arena tutti i
vincitori delle passate edizioni dei giochi. Un uomo e una donna per distretto:
il che, per il dodicesimo, vuol dire sicuramente Katniss e uno a scelta tra
Peeta e il mentore Haymitch… Crudele quel che basta per capire che le modalità di
svolgimento di questi giochi è stata eleborata apposta per portare di nuovo i
piccioncini nell’arena l’uno contro l’altro. E per togliere di mezzo quanti più
vincitori anziani possibili. Come si comporterà Katniss di nuovo catapultata nell'arena? E Peeta come si porrà nei confronti di Katniss quando la resa dei conti sarà inevitabile?
Su tutto questo ribollire di sentimenti e di avvenimenti,
metteteci pure la rivolta incipiente, l’inasprimento delle pene corporali
per gli abitanti del 12 distretto, lo spettro di un fantomatico distretto 13
non davvero distrutto ma celato da Capitol e poi ancora l’emozionante
simbolismo di rivolta infilato in ogni dettaglio dell’ambientazione (il pane
con l’impronta della ghiandaia imitatrice, il costume da arena di Cinna per
Katniss, etc….). E il finale, che dire
del finale? Assolutamente perfetto. Coerente, emozionante e mozzafiato, come
piace alla Collins e pure a noi!
Oh. Tutto questo accade in un solo libro. Roba che altri autori,
mi viene in mente il buon Martin, ne avrebbe scritti 4… Eppure, a dispetto
della densità della storia e della sua ricchezza, la lettura scorre accattivante,
parola dopo parola.
Come nel primo libro non possiamo fare altro che “scivolare”
nelle inquietudini dei protagonisti, nelle loro paure ed emozioni, e come in
Hunger Games è impossibile restare impassibili davanti alla raffinata crudeltà
di Capitol City-Snow, e alla disperata ricerca della sopravvivenza di chi è
chiamato a giocare i giochi più ignobili che esistano. Quello che mi colpisce,
come ho già detto nell’altra recensione, è la capacità della Collins di unire
azione e colpi di scena alla profonda indagine interiore dei personaggi,
indagine che non risulta mai inopportuna o “appiccicata” agli eventi. La psiche
dei protagonisti, i loro pensieri, sono dentro l’azione, sono l'azione, sicchè è impossibile,
come lettore, vivere l’avventura senza “sentire” i personaggi. Francamente non
ricordo altri libri in cui il meccanismo fosse così ben integrato; molti autori ci riescono egregiamente (penso alla Carey, penso a Stroud), ma in modo così evidente non mi
era mai capitato di leggere. Certo Peeta è sempre un po' macchietta, innamorato perso, sempre pronto a dare la vita per Katniss, ma ci accorgeremo di quanto il buon Peeta sia una colonna della vicenda nel terzo e ultimo libro, quando... non svelo ma dico che per me anche questa descrizione un po' stereotipata di Peeta è stata pensata in funzione del finale di saga. Sbaglierò però...
E sempre parlando di finali, per quanto riguarda quello della Ragazza di Fuoco che dire, è la solita trovata
geniale e spiazzante, che non placa la sete del lettore ma alimenta la
“fame” di leggere il terzo libro!!!!!
Sarà mica un caso che si chiamano “hunger” games, no?
Una nota stonata però c’è: ma dove sono finite le telecamere
nell’arena dell’Edizione della Memoria??? Vengono nominate ancora meno del
primo libro!!!
Ps: lunedì 30 vado a
vedere la prima al cinema di Hunger Games!